giovedì 23 novembre 2006

Antonio Porchia


Antonio Porchia
La vita

Antonio, il primo di sette figli (tre femmine e quattro maschi) della famiglia Porchia, nasce a Conflenti il 13 novembre del 1885. Secondo una dichiarazione resa da lui, il padre, Francesco Porchia abbandona il sacerdozio per sposa­re Rosa Vescio, ed essendo difficile vivere in paese per lo scandalo prodotto, si trasferisce ad Avellino dove fa il com­merciante di legname. Questa versione, smentita da altri com­ponenti della famiglia, secondo i quali Francesco Porchia, pur avendo eseguito gli studi religiosi, non è mai stato ordinato sacerdote, suscita perplessità nella stessa cerchia degli amici, uno dei quali, lo scrittore Juliàn Polito, la giudica frutto della fantasia e commenta: "Probabilmente Porchia se l'inventò. Comunque, la storia è affascinante. Lui la raccontava così".
Nel 1900 Francesco Porchia muore all'età di cinquant'an­ni. Nel 1902, Rosa Vescio e i figli emigrano in Argentina imbarcandosi da Napoli con la nave "Bulgaria", di bandiera tedesca. Dopo una lunga navigazione, approdati a Buenos Aires, alloggiano in un'umile casa del quartiere Barracas. Antonio, che ha frequentato in Italia la scuola elementare, non può continuare a studiare, e per collaborare al sostenimento della numerosa famiglia cerca lavoro negli umili settori acces­sibili a un emigrante. Le difficoltà di questo periodo sono rin­tracciabili nell'opera: "Mi si apre una porta, entro e m'imbat­to in cento porte chiuse", concetto ribadito a distanza di anni: "Oggi non posso credere che altri hanno trovato calore dove io trovai freddo". I patimenti lontani non tardano ad affiora­re:"Il mio primo mondo lo incontrai tutto nel mio scarso pane"; "Un po' più di pane nei miei primi anni e il mio tutto sarebbe stato tutto quello che è tutto in tutti i miei anni".
Nonostante il lavoro lo impegni per oltre quattordici ore giornaliere, il giovane Antonio trova il tempo di frequentare la Federazione Operaia Regionale Argentina. Nel 1918, insieme al fratello Nicola acquista una tipografia, che procurando una certa prosperità economica consente alla famiglia di trasferir­si in un' abitazione più grande in via San Te1mo. Nel 1936, quando i fratelli sono già sposati, Antonio compra una casa in via San Isidro nel borgo di Saavedra, dove si dedica alla col­tivazione di alberi da frutto e di fiori, in particolare roseti; la casa è spaziosa e vi trascorre molto tempo in compagnia dei familiari. A questo punto, emerge l'orgoglio dell'uomo che è riuscito a progredire con le sue sole energie: "Prima di per­correre il mio cammino io ero il mio cammino". Il benessere economico non basta, può essere soltanto una delle due ali che servono per volare, ma, come recita una delle voci: "Un 'ala non è né cielo né terra"; inoltre, a ostacolare lo svi­luppo della seconda ala interviene l'insostenibile male del vivere con il vuoto che apre nella giornata: "Quando tutto è fatto, le mattine sono tristi".
Negli anni 1938/39 Porchia collabora con la rivista di sini­stra "La Fragua", su cui esordisce con alcuni dei pensieri sca­turiti dalle riflessioni quotidiane, che lui chiama voci. Frequenta gli artisti del quartiere portuale La Boca, tra cui cir­colano idee anarchiche e socialiste, e insieme, nel 1940, fon­dano "L'Associazione di Arte e Letteratura Impulso". Le scel­te politiche, oltre a specchiarsi nei valori delle voci, sono apertamente dichiarate: "Dappertutto il mio lato è il sinistro. Nacqui da quel lato". L'accenno alla nascita sembrerebbe fare ascendere l'appartenenza politica alla famiglia; tale ipotesi potrebbe spiegare lo spretamento del padre o, comunque, l'in­terruzione degli studi teologici per l'assunzione di idee socia­liste che all'epoca della giovinezza di Francesco (era nato il 1850) incominciavano a circolare anche nel sud Italia; se invece il riferimento alla nascita è metaforico, dobbiamo pen­sare a una seconda nascita, quella che il giovane Antonio opera nella terra lontana dai luoghi d'origine, con la forza della propria volontà¹.
Nel quartiere La Boca ricco di colore, riecheggiante delle sirene delle navi, degli odori del porto, con i vecchi bar dove i marinai bevono e ballano il tango, nel 1943, gli amici (spe­cialmente Miguel Andrés Camino e José Pugliese) convinco­no Porchia alla pubblicazione di "Voces"² .
Dopo il 1949, la sua opera, scoperta dal critico francese Roger Caillois, viene conosciuta in Europa e in America. Antonio Porchia si dimostra poco propenso a raccogliere gli echi del successo, e, pur tenendosi distante dal mondo della cultura ufficiale, accetta di leggere le voci nella Società Argentina degli Scrittori soltanto al tempo in cui Borges è il presidente. Ha una voce calda e suadente. Le sue recitazioni, incise su dischi, vengono trasmesse da un'emittente radiofo­nica di Buenos Aires a mezzanotte, per conciliare la riflessione.
In quegli anni, costretto da una crisi economica, Porchia vende la casa di San Isidro e si trasferisce a Olivos, alquanto lontano dalla città. La nuova dimora più che una casa è un riti­ro in cui il poeta incomincia a vivere in solitudine.
Porchia è uno dei pochi emigranti che non fa ritorno nella terra d'origine, anzi non si allontana dall' Argentina per nes­sun'altra destinazione; declina anche l'invito a visitare la Francia, dove conoscere i surrealisti e ricevere il premio inter­nazionale per autori stranieri assegnatogli dal Club del Libro. Sarebbe l'ora di emergere e riscuotere successo, ma non è questo il suo obiettivo: "Sono arrivato a un passo da tutto. E qui mi fermo, lontano da tutto, un passo", o, forse, quell' am­bizione è sepolta tra i desideri inappagati del passato: "Alcune cose mi sono talmente rassegnato a non averle che ormai non mi rassegnerei ad averle".
Nel ritiro di Olivos accoglie amici e giovani letterati con i quali s'intrattiene a parlare di poesia; tra questi Daniel Barros e Roberto Juarroz. La sua casa è modesta ma impreziosita da quadri e sculture che gli artisti di La Boca gli regalano. Anche se gli dispiace separarsene, per procurarsi il necessario Antonio è costretto a vendere qualche pezzo della pregiata collezione. Sono opere di artisti, come Petorutti, Victorica, Quinquela Martin, Castagnino, Soldi, Butler, Corner, tutti diventati famosi e ben quotati. Richiesto da Juarroz sulle sue preferenze, Porchia si pronuncia a favore di uno dei quadri più modesti con un cespuglio solitario nell'angolo di un giar­dino (forse, in quel cespuglio solitario vede riflesso se stesso). La sua immagine è immortalata nel bronzo dallo scultore Libero Badii, uno degli amici, che ama stare con lui per sen­tirlo parlare di bellezza, di armonia universale, di perfezione dell'istante. Nonostante sia vissuto sin dall'adolescenza tra gente di lingua spagnola, Porchia sa parlare molto bene l'ita­liano.
Nella descrizione che di lui fa Juarroz resta un'immagine ricca di semplicità e di poesia: "Non usava la camicia. A pri­mavera indossava un camice e in inverno si avvolgeva in uno sciarpone di tessuto grezzo chiuso con un gancio. Quando cenavo con lui, metteva in tavola una bottiglia di vino, for­maggio, pane e salame, che comprava al mercato. Con la stes­sa naturalezza prendeva la scopa per pulire la casa e la zappa per scavare una buca nel giardino dove collocare una pianta. Aveva il dono delle piccole attenzioni, come regalare una mela a mia moglie Laura". La placida povertà di stampo fran­cescano che si evince dal ritratto di Juarroz traspare dalla voce: "A volte trovo così grande la miseria che temo mi occorra".
Nel 1966, Porchia, cadendo da una scala, batte la testa ed entra in uno stato di sonnolenza e di delirio; rimosso l'emato­ma cerebrale, si ristabilisce per breve tempo. La morte lo coglie il 9 novembre del 1968, a pochi giorni dall'ottantatree­simo compleanno.
Numerose voci rispecchiano in modo diretto la vita del­l'autore; una si presta al commiato da questa biografia essen­ziale: "Cominciai la mia commedia essendo io il suo unico attore e la concludo essendo io il suo unico spettatore".

l La suddivisione della vita di Porchia in fasi è trattata nel paragrafo "Radici".
2 Sia le date delle edizioni che quelle biografiche di Porchia sono tratte da: D.G. Duenas-A.Toledo, "Antonio Porchia: el secreto compartido", Revista de Cultura #12-fortaleza, sao paulo-maio de 2001. Nei vari studi su Porchia la data­zione non è omogenea.
Tratto da Pillole di Saggezza di Vittoria Butera

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